domenica 7 febbraio 2010

Cosenza 07/09/2009

Da un intervento di Anna Maria Saraceno ad incontro svolto a Cosenza con alcuni componenti della commissione ministeriale per i casi di mala sanità: Onorevoli Giovanni Nucara, Doris Lo Moro, M.G. Laganà Fortugno, il presidente Onorevole Leoluca Orlando.
Buonasera sono Anna Maria Saraceno moglie di Demetrio Nicolò.

Demetrio  il 7 luglio del 2008 è stato "volutamente" strappato alla sua famiglia e catapultato, tra lo sgomento e l’incredulità di tutti, in una purtroppo “grande” famiglia quella della “ mala sanità”.
Proprio così, la sua morte è avvenuta esattamente 14 mesi or sono, ed ancora oggi sono costretta, per segreto istruttorio, definire quanto successo come “sospetto caso di mala sanità” anche se so perfettamente come sono andate le cose.
A seguito di quanto accaduto, il magistrato di turno, quella notte, di sua iniziativa ha sequestrato la cartella clinica e quindi disposto il sequestro della salma per l’esame autoptico. 

Dopo 14 mesi, i miei figli ed io sappiamo  solamente, per quanto riguarda le indagini, che il fascicolo è passato da “ignoti a noti” ma nulla di più; non ci è stato possibile, a tutt’oggi, prendere visione degli atti, deduciamo  che ci siano delle responsabilità dall’unica cosa riferita ai legali, come detto prima “ fascicolo da ignoti a noti”.
Non intendo scendere nei particolari raccontando i fatti; il mio intervento non vuole rappresentare solo il mio caso nella successione cronologica degli eventi molto chiari in me, non è il luogo, né il momento, sono qui per rappresentare tutti i miei AMICI presenti in aula, persone sconosciute fino a qualche tempo fa, ma che ci siamo trovati, nostro malgrado, a far parte della stessa “grande” famiglia: quella delle vittime della mala sanità!
Eh sì!, le nostre famiglie sono state scardinate, violentate, distrutte da un sistema che ormai sta incancrenendosi nel nostro paese, soprattutto al sud e ancora di più ripetutamente negli stessi ospedali della nostra Calabria.
Signor presidente, lei, se ho capito bene, nel suo intervento ha evidenziato una netta analogia sulla matrice mafiosa del delitto Fortugno e quella dei nostri cari, vittime della mala sanità.
Pertanto, pur manifestando piena solidarietà alla moglie del dottore Fortugno,onorevole Laganà, tuttavia dissento da quanto da lei affermato nel suo intervento definendo “ sfortunati” i nostri cari.
Non possiamo accettare tale definizione, in quanto riteniamo i nostri cari, persone a cui è stato negato il diritto alla vita, proprio perché è stato negato loro, il diritto alla salute.
I nostri cari non ci sono più non perché sono stati sfortunati, ma perché sono stati “semplicemente ” AMMAZZATI anche se in modo diverso da quanto purtroppo è successo a suo marito, a cui va tutto il nostro rispetto, ma la prego pensa, dica, e consideri i nostri cari: ammazzati e non sfortunati!..
Ha proprio ragione signor presidente quando nei vari punti da lei trattati ha affermato che "…i casi di mala sanità accertati, devono essere considerati “reati di mala sanità associata, e che sarebbe pertanto opportuno inserire tale tipo di reato nella normativa legislativa come ad esempio quello delle vittime della strada, o delle vittime del racket".
Presidente, il caso o il destino non so, ha voluto che dopo quasi vent’anni dovessi essere io a prendere il microfono e dirle che un sistema malavitoso ha leso e continua sfacciatamente a ledere, quasi sempre nell’indifferenza di chi dovrebbe invece tutelarci, i valori del diritto alla vita, della giustizia, della legalità, della dignità, del rispetto della vita sempre e comunque, proprio come fece mio marito quel lontano pomeriggio del 1991, quando lei, fondatore della lista civica “la Rete” venne ad Archi, periferia di Reggio Calabria, per visitare un quartiere che si trovava in piena guerra di mafia.
Fu proprio mio marito, fondatore e componente del “Circolo socio culturale Paolo VI”, ad accompagnarla in macchina per farle visitare il territorio, illustrandogli, a fine pomeriggio, nei locali della circoscrizione, la situazione socio-economica del quartiere. Lo ha fatto, come lei stesso quel giorno disse, in maniera “encomiabile”.
Nel suo discorso mio marito evidenziò quanto c’era da lavorare per far maturare nella gente e in particolar modo nei giovani , quella presa di coscienza fatta oltre che di cultura anche e soprattutto di giustizia, dignità e coerenza. Valori per i quali mio marito ha lottato tutta la vita, e non è stato certo facile, per inculcarli nei giovani, esserne artefice e testimone in tutti gli ambiti operasse; valori di cui lei, signor presidente, ha fatto sempre “cavallo di battaglia”nella sua vita politica e non solo; valori sui quali mio marito ha improntato la sua vita e che purtroppo gli si sono rivolti contro, o meglio sono assolutamente mancati in coloro che dovevano salvargli la vita!!! Che beffa!
Io, noi, crediamo in lei signor presidente, questi valori,siamo convinti che ancora le appartengano come un tempo, quando li condivideva con quanti facevano parte del movimento “La Rete”. Lottiamo ancora insieme e facciamo sì che abbiano la meglio sul malaffare politico –sanitario, sulla corruzione, sulla superficialità con cui si tratta molto spesso un paziente, sulle lauree “facili” in medicina o sulle ammissioni comprate alla facoltà di medicina. I valori di giustizia ci appartengono cosi come ci appartiene la disperazione in tutti i suoi aspetti compresa quella di non riuscire ad avere giustizia.
Ci dia una mano affinché le nostre lotte abbiano un senso che, anche se non contribuiranno purtroppo a farci riavere i nostri cari, ci porteranno almeno a dire:
"lottiamo perché non succeda più!"
Signor presidente, sono mamma ed insegnante e come tale devo dare delle risposte di vita, di civiltà, di giustizia ai miei figli, ai miei alunni; devo e voglio dire loro, devo e voglio lottare per loro, fino alla fine, per poter dire con determinatezza e credibilità : "ragazzi la giustizia esiste e non esitate mai a non perseguirla"

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